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I remember well when I was young
Between my finger and my thumb
I held the moon.
Those sparkling lights in the night-times’s sky
I stroked and touched as i did fly
On through the darkness.
They had not told me then of time
T’was just the length of a nursery rhyme
In my mind’s eye.
I was the space in which things were,
An empty space and nothing more
Until they told me
That distance, which I could not see,
Was all around and far from me
And i believed them.
Collapsed from radiance I fell
Into the constricts of the hell
Of size and lifetime.
There were those moments, when alone,
I tasted of my timeless home
Where all was in me.
Less and less those moments came
As I grew familiar with the name
They called me.
From my beauteous vastness taken,
With torturous thoughts I felt forsaken,
Time and space my snare.
Suffering the sense of separation
I found myself in desperation
One cold, wet night.
Looking to the starry sky
I begged to know the reason why,
A rusty jagged tin in hand.
There was no wish to carry on
In time, along with all the throng
With sheep mentality.
Suddenly I was again the seer of the global scene
And all that is and that has been
Was known and understood.
That single flash of eternal light
Had shattered an illusion’s night,
In one fell swoop.
I began from there to live again
I sang the wind and danced the rain,
And no one saw me.
For all are busy looking at and out,
If they would only turn about
And see me.
To know this Emptiness again
Is desires every aim
To know me.
There is, no matter how we try,
No answer to the question why?
Just cease its asking.
This place from which you ever flee
Is the resting place, the eternal me,
The question and the answer.
Avasa
This poetry can be found on the CD “Running on Empty” where there are poems read by Avasa with the music of Anando.
For info on the Cd write to anando@inwind.it
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Mi ricordo bene quando ero piccolo
Tra l’indice e il pollice
tenevo la luna.
Quelle luci scintillanti nel cielo notturno
Le carezzavo e le toccavo mentre volavo attraverso l’oscurità.
Non mi avevano detto allora del tempo
Era solo la durata della rima di una ninna nanna nell’occhio della mia mente
Io ero lo spazio in cui le cose erano
Uno spazio vuoto e nulla di più.
Fino a che non mi hanno insegnato
Che quella distanza che non potevo vedere era tutta attorno a me e lontana da me
E io ho creduto loro.
Collassato dalla radianza sono caduto
nelle costrizioni di un inferno
di una taglia e di una durata di una vita.
C’erano quei momenti in cui da solo
Assaggiavo la mia casa senza tempo
Quando tutto era in me.
Sempre meno e sempre meno quei momenti vennero
mentre divenivo familiare
Con il nome con cui mi chiamavano.
Dalla mia vasta bellezza rapito,
Con pensieri di tortura mi sentivo maledetto
Tempo e spazio il mio abbaglio.
Soffrendo il senso di separazione
Mi ritrovai disperato una notte fredda e umida
Guardando il cielo stellato implorai
Di conoscere la ragione, il perché
Con in mano il coperchio di una lattina arrugginita.
Non c’era desiderio di andare avanti nel tempo
Assieme alla massa dalla mentalità da pecore.
Improvvisamente ero di nuovo colui che vedeva la scena globale
E tutto quello che c’è
Era conosciuto e compreso.
Quel singolo lampo di luce eterna
aveva spazzato via le illusioni di una notte
In un sol colpo.
Ho iniziato da lì
A vivere di nuovo,
ho cantato il vento e danzato la pioggia
E nessuno mi vedeva.
Perché tutti sono impegnati a guardare fuori,
Se solo si fossero voltati
E mi avessero visto.
Conoscere quel vuoto di nuovo
È lo scopo di ogni desiderio
di conoscermi.
Non importa quanto proviamo
Non c’è risposta alla domanda perché,
Semplicemente cessa di chiedere.
Questo luogo da cui non mai sfuggi via
È il luogo di riposo, il me eterno
La domanda e la risposta.
Avasa
Questa poesia può essere trovata nel CD “Running on Empty” dove ci sono poesie lette da Avasa con la musica di Anando.
Per info sul CD scrivi a anando@inwind.it
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