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When there is thinking of a future or past moment, as in planning or remembering, there is conceptualising. All attention is on the words of a story arising as the mind. If there is interest in the story the attention then continues to fuel it and this leads to its continuation in time. The attention of the moment is broken or split from the perceptual reality to the conceptual reality, which, although appearing to be real enough, is in fact not at all real but a figment of imagination.
As a young child this did not happen as the attention was not encumbered by conceptualising, but was conscious only of what was perceived. What was perceived was what appeared, NOT what was imagined to be appearing. The mind of a child does not conceptualise but is present to what appears as a reflection to the senses, the room, the moon, mums face etc. It holds no thinking process.
In a sense the child is a feeling being only. As an adult there is a split second between the attention being in perception and the attention habitually being drawn to the conceptualising so there is a very short period of time when one is rested at the level of the percept before the split in the mind takes place. As a result of this as an adult one becomes a thinking being.
As an adult we do have this perceptual moment but are unable to remain present to it before we are separated into subject to object relationship. Just a split second before this happens we are One with the object, in fact we ARE it and there is no sense of separation. Consciousness and its object are always One and when this is true of the moment there is no sense of being someone or something viewing something or someone. The moment that the attention by habit jumps from being what IS to being an apparent two is where or when the ego arises.
The ego is a habitual thought that arises to claim what IS in the moment as being a result of its presence. The so-called THINKER appears AFTER the thought claiming to be the producer of the prior thought, it itself is but another thought arising as all other thought does from what witnesses the appearance of all thought.
I see, I think, I feel etc. are all claims made after identification with the object seen have been made. The fact that seeing, thinking and feeling have occurred is true but it is NOT a fact that something or someone calling itself I or me has produced them. This I or me is an idea, a belief, a concept, another thought arising.
If attention is able to remain present to what IS the bringing into play of the splitting of attention into subject and object relationship does not occur and there is Oneness. In this Oneness there is Awareness of being what is in that moment, the I and the object are One and so no subject to object relationship is present. Where there is no splitting of what is essentially One consciousness, there is Oneness. The I is what IS, what is IS I.
When I is alone it has no means of being aware of itself, this is only possible once the I itself creates out of itself an object to appear within itself to be aware of. When this occurs there is Oneness with what appears, if the splitting of what is essential One takes place then the subject to object relationship takes place and I lives in apparent duality, apparent separation.
Seeing that thought is an object appearing AFTER the splitting has occurred and that thought itself is the one that claims to be the one that is doing the done action it cannot be a true identity but an identification with an object that has already appeared. This apparent entity is therefore not an entity at all but an activity, the identifying with an action. The ego therefore is an activity of which the true entity is the action of witnessing itself. The ego in truth is neither the producer nor the doer, as it claims to be, of anything that takes place, it itself being superseded by the witnessing. As the witness(ing) is superseded by nothing when the object is removed from the situation the witness must therefore be Nothing, Emptiness, Absence, bound neither by the objective nor the subjective relationship. Our true identity does not identify with itself because it has no requirement to do so as it is always in conscious Awareness of itself as Nothing, prior to that appearance that it itself brings into play to create the illusion of time and space.
The true identity of ALL things AND the Nothing is absence. True presence is absent of any sense of thingness.
If what has been stated is intuitively understood it will be seen that it is totally futile for the ego, which is a misidentified with already appeared object, to do anything at all to remove its identification with itself as a someone or something for in so doing it continues to try to reinstate and reinforce itself as the doer. All and any methods therefore to eradicate the pseudo self ( the ego) to reveal the true Self cannot achieve their intended goal, but will continue to fuel the concept of a me as the subject of an objective reality thus resulting in the continuation of apparent duality and suffering.
Once this is clear and obvious a letting go takes place in which no one is involved.
Avasa
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Quando c’è il pensare ad un momento del passato o del futuro, come ad esempio fare piani o ricordare, accade un concettualizzare. Tutta l’attenzione va sulle parole della storia che sorge in quanto mente. Se c’è interesse nella storia l’attenzione continua a dare energia ad essa e questo conduce alla sua continuazione nel tempo. L’attenzione viene spezzata o divisa dalla realtà percettiva verso una realtà concettuale, che – sebbene sembri piuttosto convincente- non è affatto vera, ma è solo un figmento della nostra immaginazione.
Da bambini piccoli questo non accadeva dato che l’attenzione non era ingombrata dal concettualizzare, ma era solo conscia di quello che veniva percepito. Ciò che era perepito era ciò che stava apparendo, NON ciò che ci si immaginava che stesse apparendo. La mente del bambino infatti non concettualizza ma è presente a quello che appare come riflesso, è presente ai sensi, alla stanza in cui si trova, alla luna, alle espressioni della faccia della mamma e così via. Il bimbo non si attacca a un processo di pensiero.
In un certo senso il bambino è solo un essere di sensazione. Da adulti invece c’è una frazione di secondo tra cui l’attenzione che sta nella percezione e l’attenzione che di solito viene attratta dalle concettualizzazioni: c’è dunque solo un momento molto breve di tempo in cui si resta ad un livello di percezione prima che la divisione della mente accada. Come risultato di questo un adulto diventa un essere pensante.
Da adulti abbiamo questo momento percettivo, ma non siamo capaci di restare presenti ad esso prima di separarci di nuovo in una relazione tra soggetto e oggetto. Una frazione di secondo prima che questo accada siamo Uno con l’oggetto, infatti SIAMO l’oggetto e non c’è senso di separazione. La Coscienza e il suo oggetto sono sempre Uno e nel momento in cui questo è vero non c’è alcuna sensazione di essere un qualcuno o un qualcosa che stia guardando qualcosa o qualcuno. Il momento in cui l’attenzione, per abitudine, salta dall’essere CIO’ CHE E’ ad essere apparentemente due cose è come e quando l’ego sorge.
L’ego è un pensiero abituale che sorge a reclamare ciò che E’ nel momento come risultato della sua stessa presenza. Il cosiddetto PENSATORE appare DOPO il pensiero di cui reclama di essere il produttore: in se stesso è dunque solo un altro pensiero che sorge – come tutti gli altri pensieri – da ciò testimonia l’apparizione di ogni pensare.
“Io vedo”, ” io penso”, ” io sento” sono tutte cose reclamate dopo che l’identificazione con l’oggetto visto è stata compiuta. Il fatto che il vedere, il pensare, il sentire siano accaduti è vero ma NON è un fatto che un qualcuno o un qualcosa che chiama se stesso “io” o “me” li abbia prodotti. Questo io o me sono un’idea, una credenza, un concetto, solo un altro pensiero che sorge.
Se l’attenzione è capace di restare presente a ciò che E’, allora questo crearsi di una divisione dell’attenzione nella relazione soggetto-oggetto non accade più e c’è l’Uno. In questo Uno c’è la Consapevolezza di essere ciò che si è in quel momento, sia l’Io che il l’oggetto sono Uno e quindi non c’è alcuna relazione soggetto-oggetto. Quando non c’è un separare qualcosa che è essenzialemente una unica Coscienza, c’è Unità. L’Io è ciò che E’, ciò che è E’ Io.
Quando l’Io è da solo non ha mezzi attraverso cui essere consapevole di sè: questo è possibile solo quando l’Io stesso crea a partire da sè un oggetto di cui essere consapevole. Quando questo accade, c’è l’Unità con ciò che appare; se invece si manifesta una divisione di ciò che è essenzialmente Uno allora appare la relazione soggetto-oggetto e l’Io vive nell’apparente dualità, nell’apparente separazione.
Dato che il pensiero è un oggetto che appare solo DOPO che la divisione è accaduta e che il pensiero stesso è ciò che reclama di essere colui che ha fatto l’azione, esso non può essere la nostra vera identità ma solo un’identificazione con ciò che è già apparso. Questa apparente entità non è quindi una entità, ma solo un’attività, quella dell’identificazione con l’azione. L’ego quindi è un’attività di cui la vera entità è il testimoniare stesso. L’ego in verità non è nè il produttore nè l’autore, come invece reclama di essere, di qualunque cosa accada, in quanto in se stesso è solo qualcosa che sottosta alla testimonianza. Dato che il testimoniare non sottosta a nulla, quando l’oggetto è rimosso dalla situazione il testimone deve dunque essere Nulla, Vuoto, Assenza, non legato alla relazione oggettiva o soggettiva. La nostra vera identità non si identifica con se stessa perché non ha bisogno di farlo in quanto essa è sempre nella Consapevolezza conscia di sè in quanto Nulla, che precede quell’apparizione che con sè porta il gioco dell’illusione di spazio e tempo.
La vera identità di TUTTE le cose E del Nulla è assenza. La vera presenza è assente di ogni “qualcosità”.
Se ciò che è stato affermato è compreso intuittivamente sarà visto che è del tutto futile per l’ego, che è un identifircarsi con un oggetto già apparso, fare qualcosa per rimuovere la sua identifiazione con sè stesso come se fosse un qualcosa o un qualcuno perché nel cercare di farlo esso continuerebbe a ristabilirsi e rinforzarsi come autore delle cose. Ogni e ciascun metodo quindi per sradicare lo pseudo sè (l’ego) al fine di rivelare il vero Sè non può raggiungere il proprio scopo, ma continuerà solo ad alimentare il concetto del me come soggetto di una realtà oggettiva e quindi produrrà una continuazione dell’apparente dualità e sofferenza.
Una volta che questo sia chiaro e ovvio accade un lasciare andare in cui nessuno è coinvolto.
Avasa
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